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ANTONIETTA E VALTER: SCOPRIRSI “NONNI” NELL’OSPITALITA’

Desideriamo condividere questa nostra esperienza di ospitalità di una mamma e la sua bimba di tre anni che sono scappate da questa dolorosa e insensata guerra in Ucraina.
Guardando inorriditi e addolorati queste immagini televisive abbiamo deciso, con un piccolo gesto, di ospitarle.
Crediamo che sia stata la decisione migliore  che abbiamo preso


Una domenica alle 7.30 mio marito è andato a  prenderle a Mestre dopo un loro viaggio di giorni in treno.
Sono Anna e la piccola Anastasia. I primi giorni Anastasia non si staccava dalla mamma ma ora non ha più paura e gira per la mia grande casa con un piccolo passeggino e una bambolina. Gioca con me con la sua mini-cucina o una pallina. Abbiamo fatto amicizia.
Da anni, io nonna mancata, non facevo “versi” come nascondermi dietro le tende o le poltrone e saltare fuori facendo ”BOO” per farla ridere.
Sono molto educate e grazie all’applicazione che mio figlio mi ha scaricato ci capiamo benissimo.(io che brontolo perché anche  mio figlio di 40 anni e mia nuora stanno attaccati al cellulare).
Se pensiamo a questa decisione ci sentiamo contenti: ha dato una mano di miele sulle nostre giornate a volte noiose  e sul nostro sereno matrimonio oramai di 42 anni.
Non è difficile, basta un piccolo impegno e si ha in cambio tanta gioia.

Antonietta e Valter di Rovigo

SONO STATA TESTIMONE DI UNA GENEROSITA’ SOPRENDENTE

Sono Carmela, moglie e mamma della provincia di Rovigo. Nei giorni scorsi, ero stata contattata dalla mamma di una bimba, alla quale faccio catechismo. Ero un po’ stupita dalla richiesta in quanto né lei né il marito frequentano la chiesa. Mi chiedeva se volevo contribuire ad una raccolta di cibo, abiti per adulti e bambini, da inviare, tramite alcune badanti ukraine, nel loro paese, coinvolto da diversi giorni in una folle guerra. Ho quindi confermato allargando la richiesta al gruppo con il quale condivido la Parola di Vita. La risposta è arrivata puntuale e siamo riusciti in due giorni a confezionare pacchi contenenti ogni ben di Dio, per oltre 2 q.li. Ovviamente quella mamma non si aspettava un tale quantitativo ed era stupita e meravigliata.

Tuttavia il messaggio della Parola di Dio che invitava a puntare all’essenziale era “troppo coinvolgente” così ho inviato il seguente messaggio alle persone che rispondevano al messaggio ringraziandomi “e questa settimana anche grazie a voi, ho consegnato oltre 2 q.li di cose non essenziali, per i nostri fratelli. Domani bonifico ad un paio di sacerdoti che conosco e sono ancora là”.

Il mio stupore è stato nel constatare che più persone mi hanno contattata personalmente dicendomi di aggiungere chi € 50,00 chi € 150,00 chi € 300,00!

A fine giornata l’importo raggiunto era di € 1.100. Ho ringraziato commossa tutti quelli che avevano contribuito.

Un’amica poi venuta a sapere di ciò che avevo fatto, si è presentata con una somma significativa di € 300,00 e me l’ha consegnata sapendo che il tutto “sarebbe arrivato a destinazione, grazie alle tante persone che conosci”. Il bonifico l’ho fatto fare ad un giovane imprenditore, per risparmiare sulle spese del bonifico. Gentilissimo lo ha fatto immediatamente e poi mi ha inviato la copia. Ma come? Vi era scritto € 400,00! L’ho chiamato pensando che si fosse sbagliato. Invece no. Anche un suo amico gli ha detto di aggiungere la sua quota…

Un giovane mi ha suggerito: “hai presente il miracolo dei pani e dei pesci?”

Cosa aggiungere… ”Signore accresci la mia fede”.

ROBERTO MEDICO E SPOSO CON LAURA: L’INCONTRO CHE CAMBIA LA VITA!

“Non c’è struttura né organizzazione o iniziative che tengano; la sola cosa in grado di cambiare l’uomo (e il mondo) è una vita diversa e nuova”. Sono Roberto di Adria, medico pediatra insieme a mia moglie Laura, infermiera, sposati con tre figli.   Volendo condividere l’esperienza che vivo nel mio lavoro parto volentieri da questa affermazione. La trovo vera e la mia storia lo conferma: una sequenza ininterrotta di incontri con persone significative il cui fascino e la modalità con cui vedevo esercitare in loro quella che sarebbe diventata anche la mia professione, quella di medico nel mio caso, ha rappresentato il trampolino di lancio, la base da cui partire con entusiasmo verso ogni decisione, ogni mossa decisiva inerente la mia storia di medico. Il mio primo Prof (Franco C.) con i suoi occhi penetranti ed il suo aspetto burbero ma intelligente, il mio maestro di Neurologia (Prof. Carlo F), l’immenso Prof Marco Ivo P., ancora oggi inarrivabile nella profondità di esperienza e cultura che mi ha per anni testimoniato, ma anche il mio Cardinale (Canestri) di quei giorni, che mi volle nel suo studio per festeggiare la Laurea e mi parlò a lungo su come dovesse essere l’atteggiamento del futuro medico che aveva d’innanzi, il ruolo della massoneria nella mia città d’origine, le difficoltà che avrei incontrato, la purezza della decisione intrapresa, e poi gli amici di cammino che, numerosi, ho incontrato, dai Colleghi di Medicina e Persona sparsi un po’ in tutta Italia e quelli più vicini, a Ferrara ad esempio con cui s’è costruito  assieme un Corso di Bioetica in Università durato per oltre 10 anni con cui abbiamo incontrato esperti e scienziati provenienti da tutto il mondo, ai Santi Medici con cui, nel tempo,  ho famigliarizzato: il Prof Lejeune, genetista, San Riccardo Pampuri, medico condotto nella bassa Pavese, San Giuseppe Moscati, più vicino al modello odierno di medicina … e poi tutti i miei amici attuali, ospedalieri e non, con cui condivido questa speciale missione.

In una professione molto ricca di spunti analitici, ricchissima di nuove tecnologiche e di acquisizioni biologiche in tutti i settori della medicina, in una società ipermedicalizzata dove la salute rappresenta un obiettivo ineludibile da esigere ad ogni costo pena l’esclusione sociale e l’emarginazione, l’elemento che ritengo decisivo per non soccombere alla pressione del pensiero dominante che grava con violenza quotidiana su tutti noi, dal salutismo ad ogni costo, alla cultura dello scarto, alla ricerca del biologico più puro, alle diete più varie, è il superamento del pensiero individualista di cui siamo permeati, per abbracciare la visione “dal di dentro di una compagnia” con cui condividere i propri ideali. La prospettiva del “noi” come dimensione della maturità dell’io dentro un popolo nuovo, credo sia la novità dirompente che ogni persona, più o meno cosciente dei propri bisogni e dei propri desideri, attenda, come  un avvenimento che accade “un bel giorno”, per grazia, a lungo atteso ma impossibile da immaginare, così profondamente corrispondente alla propria natura da essere in grado di afferrarci nel profondo trascinandoci con sé, in una compagnia grande, che poi è la Chiesa, sino alla scoperta del proprio volto più vero. Questo stiamo sperimentando Laura ed io, di giorno in giorno, in mezzo alla gente che incontriamo, con le nostre ed altrui contraddizioni e limiti, liberi di poter essere rifatti nuovi ogni volta che questa grande compagnia, che ci pressa da vicino, ci riabbraccia e si stringe a noi. Non credo che ci sia nulla di più decisivo di questo per non smarrirsi in questa epoca così buia per l’incapacità di far affiorare, valorizzare e  scoprire i tratti distintivi e più preziosi della vera nostra umanità, del nostro vero volto.

 

Roberto Mattei con Laura

IL CAMMINO PER LA NULLITA’ MATRIMONIALE MI HA FATTO CRESCERE COME PERSONA

Mi chiamo Barbara, ho 51 anni e abito in Basso Polesine, ho tre figli, avuti da un matrimonio durato 17 anni. La vita familiare è sempre stata piena e apparentemente condivisa, poi quasi dal nulla il mio matrimonio è naufragato.
Che cosa era successo? Ho cercato di rispondere a questa domanda affidandomi a vari psicologi, percorsi di formazione cristiana e incontri con varie persone che avevano avuto la stessa ferita. Tra questi ho conosciuto un gruppo di Rovigo di nome  Emmaus che da anni affronta un cammino mensile di ascolto e riflessione della Parola di Dio. Nel tempo ho elaborato la necessità di capire sempre di più quali potevano essere stati i miei limiti nel gestire il matrimonio e cosa non ero riuscita a vedere o a leggere. Varie persone con cui mi sono confrontata, anche in questo gruppo, mi hanno parlato e suggerito di intraprendere  il percorso per accertare la nullità del mio matrimonio presso il Tribunale ecclesiastico, essenzialmente per due motivi: capire se effettivamente era stato celebrato validamente un sacramento  e soprattutto avviare un percorso di analisi della mia persona; cercare, attraverso l’esposizione dei fatti e dei sentimenti che ho vissuto durante il matrimonio di imparare a conoscere meglio chi sono stata e come sono ora. Ritengo che il cammino fatto e quasi giunto al termine, a prescindere dall’esito che ci sarà, mi è servito molto, sia per riappropriarmi della bellezza della mia persona, svilita e umiliata da tanti sensi di colpa e dalla percezione che gli amici hanno di me. Questo percorso ha aumentato la mia autostima e soprattutto mi ha fatto conoscere chi era l’uomo che avevo sposato. Ringrazio Dio per questa preziosa esperienza, per me è stata come una carezza e un modo per dirmi “ti voglio bene”.

Barbara

FAM. OLIVA: LA GIOIA DI APRIRE LA PORTA DI CASA

Ci è stato chiesto di scrivere un articolo su cos’è per noi l’accoglienza. Siamo Guido e Cristina e abbiamo pensato di rifletterci insieme ai nostri figli Federico e Ilaria. Complice una settimana di quarantena (cosa non insolita di questi tempi, purtroppo) ognuno di noi ha avuto modo di pensarci e di declinare questo concetto a suo modo, prendendo spunto da piccole esperienze vissute e condivise in famiglia, che però hanno lasciato un segno indelebile.

Non ricordo quando mi è venuto questo pensiero, se appena sposati – e ormai sono passati molti anni – o dopo, quando sono arrivati i nostri figli, ma mi è sempre piaciuto pensare alla nostra famiglia come ad un posto accogliente per tutti noi. A volte basta poco: due chiacchere davanti a un the, una tavola apparecchiata con cura, il piatto preferito di qualcuno per cena, un bigliettino che accompagna un regalo, una battuta per sdrammatizzare una situazione. Altre volte è più impegnativo e vuol dire cercare di capire, portare pazienza. A volte non ci riesci proprio, ma magari l’altro capisce lo sforzo. Quel che è sicuro è che questo tipo di “accoglienza” è contagioso e va in tutte le direzioni: dai più grandi ai più piccoli e viceversa. Passa anche dalle piccole cose a quelle più profonde e importanti perché è quando ti senti accolto e amato così come sei che puoi comunicare davvero quello che hai dentro. E poi diventa qualcosa che hai voglia di condividere con altre persone che incontri nelle situazioni più diverse della vita. Niente di straordinario, beninteso, ma pura quotidianità, la parte della vita che io, personalmente, preferisco perché la trovo straripante di umanità. Nella logica di un mondo che va sempre di fretta l’accoglienza è davvero un valore contro corrente. Significa dedicare a qualcun altro del tempo che avrei sicuramente potuto impiegare in altro modo. E nella logica di un mondo sempre più diffidente verso gli altri significa interessarsi alla storia di qualcun altro, dedicargli la mia attenzione. Spesso diventa condivisione nel momento in cui mi rendo conto che ascolto l’altro perché ho bisogno anch’io di essere ascoltato. Perché abbiamo bisogno gli uni degli altri e di confrontarci con storie e volti diversi per definire noi stessi. E a questo punto non si sa più chi accoglie e chi viene accolto perché il risultato è un legame forte, profondo, duraturo. 

Cristina

 

È vero in famiglia è successo che ospitassimo delle persone ma sinceramente non saprei rispondere alla domanda “perché lo fate?”.

Condividere la nostra quotidianità con un estraneo non è facile perché lo facciamo entrare nella nostra comfort-zone e questo significa che ci doniamo all’altro perché, che ci crediate o no, avere un estraneo in casa vi cambia completamente la routine. Se prima pensavi solo a te stesso ora devi pensare anche a lui, dovete trovare una quadra tra le tue abitudini e le sue, tra i tuoi impegni ed i suoi e tra il tuo stile di vita ed il suo. Non è facile e non è neanche detto che ci riusciate, quindi tornando alla domanda di prima, perché lo si fa?

Secondo me non c’è un perché, è impossibile dare una motivazione a tutto quello che ci succede nella vita, si tratta semplicemente di vivere le occasioni che ci capitano. 

Spesso le situazioni che non conosciamo ci spaventano perché non possiamo controllarle e al giorno d’oggi ci sembra assurdo non avere il controllo su qualcosa. Ospitare una persona è come fare un salto nel vuoto, non sai cosa aspettarti e soprattutto non sarà mai come vorresti, ma non è detto che non ti possa sorprendere e vedrai che se ti affidi a lei non ti sembrerà più di saltare nel vuoto ma di camminare insieme fianco a fianco.

Ilaria

L’accoglienza, per la mia esperienza, non è una scelta. É piuttosto un approccio agli altri, uno stato mentale, un modo di vivere la relazione con tutte le persone che incontri. A volte decidi di accogliere una persona, ma a volte, forse il più delle volte, è una persona che capita nella tua vita, e ti chiede di fare subito una scelta se farle spazio o no. E non sempre è il tipo di persona che ti piacerebbe accogliere. Io ho sempre avuto una grande gelosia per la mia sfera privata, per esempio, e quindi pensavo di poter fare accoglienza andando per esempio a fare volontariato in una realtà dove si accoglievano le persone. L’ho fatto in passato, ad esempio in ospedale, ma questo approccio di stabilire io i tempi e i modi in cui ti metti a disposizione degli altri a un certo punto è stato scardinato dal fatto che le persone che ti chiedono accoglienza non lo fanno nel tuo orario di servizio, cioè nella casella che gli hai assegnato nella tua vita, ma nel momento in cui non te lo aspetti, nel modo in cui non te l’aspetti, e ti chiedono di aprire una finestra di ascolto e di attenzione concreta alla loro vita che è fondamentalmente a tempo indeterminato e a loro assoluta discrezione. Dimenticavo, a volte sono persone stupende che ti danno molto più di quanto ricevi, ma a volte non proprio, anzi. Perché ognuno di noi è convinto di essere capace di accogliere la diversità, ma c’è sempre qualche diversità che è, diciamo, un po’ troppo diversa. Per fortuna, o più probabilmente per suo disegno, Dio mi ha messo accanto una donna che invece non si spaventa troppo di fronte all’ospite imprevisto, nel senso che sa reagire alla prospettiva di cambiare i propri piani dicendo “perché no? Basta che lo facciamo insieme! “. Quindi Signore, grazie per lei e perché lo so che sapevi che in fondo mi sarebbe piaciuto, ma da solo non ce l’avrei mai fatta.

Guido

 

Per un bambino le dinamiche familiari che impara a conoscere da piccolo sono parte fondamentale di quell’approccio alla vita quotidiana che si porterà avanti per gran parte della vita. Il pranzo assieme, i popcorn al cinema, il film del mercoledì sera sul divano. Un mio ricordo sono i pomeriggi passati al gruppo famiglie. I grandi chiusi in una misteriosa sala conferenze, io a giocare con bambini e animatori, diventati con gli anni amici. Pranzo tutti assieme con i genitori finalmente riemersi. Mi sono sempre sentito trattato da pari in quelle circostanze. Ero piccolo ma potevo parlare e conoscere chiunque. Crescendo, è rimasto questo piacere di condividere parole e storia, esperienze di vita. A mente fredda, credo sia questo per me il segreto dell’accoglienza. Non la compassione o altro, ma il piacere di scoprire chi sta di fronte a noi. Non significa che sia una cosa facile o leggera. Condividere può essere stancante, anche doloroso, a volte noioso. Però, uno dei piaceri più grandi che provo oggi è il pensare a quella volta che Max mi ha insegnato a catturare le farfalle, all’acqua alla fragola di Valeria, a Mario che ricorda sua mamma, alla RAM del mio PC che è finita chissà dove dentro a quello di Daniel. Mi dicono spesso che conosco troppa gente, che sono un po’ un betonego. In realtà mi hanno solo fatto capire quanto bello è ascoltare. Da lì l’accoglienza viene da sé. È un po’ come andare a correre d’inverno, la parte difficile è uscire dalla porta. Da quei pomeriggi al gruppo famiglia tornavo distrutto, a volte con i compiti da finire. Dei compiti però non ho ricordo, di quei pomeriggi si però, eccome!

Federico

ABBIAMO RISCOPERTO LA BELLEZZA DI PREGARE IN FAMIGLIA

Quando don Luca ha comunicato in chiesa la possibilità di ospitare la statua della Santa Famiglia nella nostra casa, sin da subito io e mio marito Matteo abbiamo accolto con entusiasmo questa esperienza. Il giorno stesso, al termine della Messa, abbiamo comunicato a Don Luca la nostra adesione.  

Perché questa scelta poco dopo il nostro matrimonio?

Abbiamo pensato che accogliere la Santa Famiglia di Nazareth, nella nostra “nuova famiglia” sarebbe stato come accogliere Dio nella nostra vita, in questo nuovo percorso di vita e soprattutto per una crescita spirituale.  È stata nella nostra casa una settimana, alla sera non mancava la recita del Rosario.

Le persone che sono venute a trovarci in quei giorni sono rimaste stupite da tanta bellezza e dolcezza che trasmetteva: Giuseppe e Maria, che tengono per mano Gesù. 

Con questa esperienza io e mio marito abbiamo riscoperto il valore della preghiera fatta insieme. 

Esperienza che consigliamo a tutte le giovani coppie!

 

Matteo e Francesca di Lama Polesine

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La Famiglia Pellegrini si è sentita invece di esprimere con questa preghiera la felice esperienza di dare ospitalità alla statua della Santa Famiglia:

 

Cara Famiglia di Nazareth, ti abbiamo ospitato nella nostra casa, dove abbiamo passato insieme a voi momenti di preghiera e di riflessione. Ci siamo confrontati come famiglia e abbiamo capito che in questi tempi è difficile tenere accesi i veri valori, come l’amore, l’unità, il perdono, l’umiltà, la condivisione, abbiamo bisogno di avere sempre dinnanzi a noi la vostra luce. E’ veramente una lotta questa vita perché il mondo ci trascina nell’indifferenza e ci fa sentire soli con i nostri problemi. La vostra presenza è essenziale perché è sempre una guida per portarci alla preghiera e all’ascolto della Parola. Vi preghiamo, aiutateci nel cammino verso la Santa Terra e perdonateci dei nostri sbagli e ricadute. E’ stato un onore avervi ospitato nella nostra famiglia perché ci avete donato serenità e pace interiore. Grazie.

Famiglia Pellegrini di Gavello. 

LAURA E DANIELE: LE NOSTRE FESTE NATALIZIE CON IL COVID

Il 19 dicembre Laura ha il raffreddore, le sale la febbre, fa un tampone e risulta positiva. Panico, dove l’avrà preso? E adesso, tutti i nostri prossimi impegni per le festività? Le ferie in montagna? Inevitabilmente ci si demoralizza, il Covid ti blocca per giorni, blocca tutta la tua famiglia, le persone che hai visto nei giorni precedenti… Lo sconforto dei primi momenti nei quali avvisi tutti, organizzi il lavoro, l’assenza, l’isolamento in casa, annulli quegli impegni a cui tanto tenevi, lascia il posto alla rassegnazione. 

Anche i bambini poi sono positivi, fortunatamente per tutti i sintomi sono lievi, ne siamo contenti ma pensiamo innervositi a tutto ciò che l’isolamento non ci avrebbe fatto fare durante quella tanto attesa pausa natalizia. I giorni passano, la sveglia al mattino suona un po’ più tardi, il “blocco forzato” impone, con due bambini, di riempire le ore: di attività, di gioco, di torte, di compiti, cartoni animati, anche di un sano far niente…ma tutti e quattro insieme! Non avremmo sicuramente mai trascorso vacanze così se non fossimo stati chiusi in casa in maniera obbligata, non so se sarebbero state migliori o peggiori, ma sicuramente non così. Di un avvenimento imprevisto e alquanto indesiderato, parlando insieme di quelle 3 settimane in casa, prevale nella nostra mente il ricordo di uno dei più preziosi momenti di famiglia, divertimento e relazione (non sono mancati discussioni e nervosismo, ma anche quella è relazione!). 

C’è stato il dispiacere di essere lontano dagli affetti proprio a Natale, la paura di conseguenze sanitarie, le preoccupazioni di Daniele come lavoratore in proprio, la gestione dello smartworking per Laura, la stanchezza di non poter vedere fisicamente nessun altro per tanto tempo… tutto ciò ci ha accompagnato ma ad un certo punto ci siamo accorti che stavamo disponendo in modo più abbondante di qualcosa che di solito sembra sempre mancare, il tempo. Ne abbiamo avuto tanto e lo abbiamo usato tutto per stare insieme senza fretta, senza orari. Questa circostanza ci ha fatto riscoprire soprattutto la grazia di tante persone che ci sono state vicine, anche solo con un messaggio, la disponibilità per commissioni, la spesa… 

Alla sera ci si fermava tutti insieme a pensare alla cosa più bella della giornata (la più brutta erano sempre “il covid e i tamponi”), ne abbiamo trovate un bel po’, piccole piccole ma proprio un bel po’.  Le nostre preghiere sono state di speranza e gratitudine, in un momento che avremmo molto volentieri evitato ma che comunque si è presentato ed abbiamo provato ad attraversare al meglio: la volontà di renderlo il meno pesante possibile per i nostri bambini (e un sano istinto di sopravvivenza da genitori! 😉) è diventato motore per goderne tutti e questo incidente di percorso ci ha fatto scoprire tante cose di cui, nella fretta, tutti i giorni si perde il vero valore. 

 

Laura e Daniele Rigolin

con Alice e Giacomo

SIMONE E BERNARDETTA: UN’ACCOGLIENZA CHE CI HA ENTUSIASMATO

La coppia accoglienza è una nuova figura introdotta dalla proposta diocesana di cammino di preparazione al
matrimonio. Non è la classica coppia che insieme al sacerdote guida gli incontri del percorso fidanzati, ma
agisce dall’esterno creando legami di amicizia con una coppia di fidanzati in particolare e, in clima di
affettuosa accoglienza, li accompagna nella vita, aiutandoli anche ad inserirsi nella comunità parrocchiale
di appartenenza.
Siamo Simone e Bernardetta di Fiesso Umbertiano e vorremmo condividere la nostra esperienza per aver
accettato questo piccolo incarico di coppia accoglienza che per noi era del tutto nuovo.
Quando Enrica e Mauro (coppia guida del percorso fidanzati) ci chiamarono per proporci di fare da coppia
accoglienza a due giovani fidanzati del nostro paese che si stavano preparando al matrimonio, fummo un
po’ sorpresi, ma soprattutto preoccupati.
E adesso? Cosa diciamo a questi ragazzi?….la ricetta del vivere felici e contenti noi non ce l’abbiamo…
Poi ci siamo chiesti: “ha senso mostrare qualcosa che non ci appartiene?”, “nelle serate in cui ci dovremo
incontrare ha senso cercare di emulare la famiglia del Mulino Bianco?”. La risposta è stata: NO!!!
Siamo quel che siamo ed è quello che dobbiamo esibire. Una cena in famiglia spesso si trasforma in una
simpatica confusione….è così tutte le sere, si torna stanchi dal lavoro mentre i bambini reclamano
attenzioni: un compito di scuola da finire, un gioco da fare insieme, le avventure/disavventure della
giornata da raccontare a mamma e papà.
Questa è la vita in famiglia, ci sono giorni in cui la si vive con gioia, ce ne sono altri in cui tutto diventa più
difficile …ma poi c’è quel motore sempre acceso che ti fa andare avanti, quel motore è l’amore.
I diversi momenti in cui ci siamo trovati con la coppia di fidanzati assegnata, Giorgia e Roberto, sono stati
molto positivi anche per noi, coppia più anziana. Forse abbiamo dato qualcosa, ma sicuramente abbiamo
ricevuto. L’entusiasmo e le emozioni di una giovane coppia in procinto di pronunciare il SI più importante,
sono diventati benzina per il nostro motore.
Ci eravamo riproposti di potersi rivedere con calma e proseguire nel cammino iniziato, purtroppo poi gli
impegni di tutti hanno allungato i tempi e il covid ha dato la botta finale. Ma ancora oggi pur non essendoci
più trovati formalmente, ci incontriamo per le vie del paese ed è bello quando si incontrano gli sguardi e
ripercorriamo quei momenti di crescita. Bello è anche vedere che i ragazzi sono attivi in parrocchia e con il
loro modo di stare insieme riescono a trasmettere affiatamento e amore coniugale.

Simone e Bernardetta

IL “MIRACOLO” DI UNA VITA CON GIORGIO

Siamo Giancarlo, Isabella e nostro figlio Giorgio della parrocchia di Castelguglielmo. Ci dicono che siamo una famiglia speciale ma noi ci sentiamo una famiglia come tutte le altre.
Torniamo indietro nel lontano 10 febbraio del 1988, quando mi trovavo in un letto d’ospedale, dove mi era appena stata diagnosticata una malattia autoimmune. Ricordo quel giovedì sera quando il primario entrò nella mia stanza e mi confermò la diagnosi, io chiesi subito se avrei potuto avere figli, lui mi guardò e mi disse “nel suo caso i figli non si fanno, ma si adottano”. Guardai Giancarlo che semplicemente mi disse “ nessun problema ne adottiamo uno!” Credo che questa sia stata la dichiarazione d’amore più bella che mio marito mi abbia fatto. Tuttavia passò qualche anno prima di arrivare alla decisione di adottare e il 9 febbraio del 1995, mi trovavo a Lourdes per esaudire un voto fatto da mia mamma (sempre legato alla mia malattia): proprio lì credo che si sia consolidata l’idea dell’adozione. Ci sentivamo pronti ad accogliere anche con il benestare della Madonna. Avevamo le idee chiare: se dovevamo fare questo passo doveva essere verso un bambino che nessuno avrebbe adottato. Dall’associazione ci arrivò una telefonata: “c’è un bambino nato il 9 febbraio 1995 e si chiama Georgi (tradotto) Giorgio”; la sua data di nascita corrispondeva a quel giorno davanti alla Madonna di Lourdes. Partiamo il 6 gennaio 1998 per andare a prendere il mostro piccolo Giorgio, felicissimi dì portarlo a casa. All’ambasciata ci dicono che stiamo per portare a casa un bambino malato: per noi era nostro figlio, se aveva delle difficoltà, insieme le avremo risolte. Finito l’iter dell’adozione (che dura un’ anno) anche l’assistente sociale ci dice che se volevamo, lo potevamo mettere in istituto. Nonostante tutto e tutti, e non è stata una passeggiata, oggi Giorgio è un ragazzo felice e tranquillo con una certa autonomia, si è inserito in diverse associazioni dove trova il suo spazio e noi ci siamo aperti ad un mondo che non conoscevamo. E quella voce “va a casa e adotta “ che la Madonna sembra avermi sussurrato, ha riempito la nostra vita.

Isabella e Giancarlo

I 5 FIGLI DI ENRICO E ALESSIA: OGNUNO UN DONO UNICO!

Se il 2 agosto del 2003, in un caldissimo pomeriggio estivo, don Camillo, quando pronunciò la frase:siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi (…)?”, avesse aggiunto: “e saranno 5”, avremmo sicuramente riso e pensato ad uno scherzo!

Non avevamo un progetto chiaro e definito tanto che vivevamo in un bilocale, ma evidentemente Dio lo aveva su di noi e noi lo abbiamo accettato. 

In questi 18 anni ci hanno accompagnato le preoccupazioni mentre la famiglia cresceva di numero (una casa più grande, il lavoro precario o da ritrovare, l’organizzazione familiare tra scuole, babysitter, attività varie, ecc.) così come la fatica quotidiana, ma anche tante persone amiche, la gioia nei piccoli e comuni avvenimenti di ogni giorno e la Provvidenza. Noi abbiamo contribuito con il nostro impegno e con fiducia nella Provvidenza.

Ogni figlio è un dono speciale, unico e prezioso. Noi, da soli, non saremmo mai stati in grado di pensare un’opera d’arte migliore! Dio ci ha preso per mano durante le stonature e i momenti bui, regalandoci la libertà di ammirare la musica e i colori della vita. 

Enrico e Alessia di Rovigo